Dal nostro anniversario di matrimonio agli accordi di Oslo.
Questa settimana, più che una newsletter, un po' di pensieri in libertà. Abbiate pazienza, ma è stata una settimana difficile per tutti.
Il nove ottobre è stato il nostro anniversario. Ci siamo sposati – per la seconda volta: la prima era stata ad aprile – il 9 ottobre 2016, al giardino botanico di Brooklyn il giorno del terzo dibattito tra Hillary Clinton e Donald Trump, un mese esatto prima delle elezioni (chi ha letto il libro lo sa). Di solito per il nostro anniversario andiamo da Gallagher, una steak house storica meravigliosa che io adoro, ma questa volta siccome eravamo in Vermont dalla sorella di Dan, abbiamo festeggiato con una cena solo noi due in una specie di rifugio di montagna molto rustico e carino. Festeggiato è una parola grossa, visto quello che era successo due giorni prima. Come forse alcuni già sanno, mio marito Dan Gerstein è un ebreo americano. Non religioso, nel senso che non frequenta la sinagoga né in casa celebriamo lo Shabbat, ma – come dice lui - è un ebreo culturalmente e storicamente orgoglioso delle sue origini, di una famiglia che lasciò l’Europa orientale – la Moldavia, per essere precisi – quando iniziarono le prime persecuzioni. Da quando ci conosciamo ho avuto modo di conoscere meglio una cultura e delle tradizioni che già da prima mi affascinavano: una volta chiesi persino a Dan se lui ci teneva che io mi convertissi, perché nel caso, senza promettere niente, avrei preso in considerazione la cosa, ci avrei almeno pensato. Dan quella volta mi disse che per lui non era importante, e quindi non ne abbiamo più parlato. Nel matrimonio di ottobre, però, quello diciamo ufficiale con gli invitati, parenti etc, abbiamo inserito nella nostra cerimonia elementi della cultura ebraica: ci siamo scambiati le promesse sotto la chuppah, abbiamo rotto il bicchiere, abbiamo ballato la hora. Per lui erano importanti e devo dire che è stato bellissimo e una delle mie fotografie preferite in assoluto è quella in cui sono sulla sedia e sotto c’è il mio amico Paride che mi tiene su, con la faccia stravolta dalla fatica. Capito cosa é l’amicizia?
Quello che sta succedendo ci e mi tocca ovviamente da vicino, sia come essere umano in generale, sia come moglie di un ebreo, sia come newyorkese che vive nella città con la più grossa comunità Jewish del mondo. Già prima degli eventi del 7 ottobre, io e Dan abbiamo parlato spesso della situazione a Gaza, trovandoci d’accordo su quello su cui tutte le persone di buonsenso credo si trovino d’accordo: è una situazione insostenibile, ci sono vittime innocenti da entrambe le parti, i due popoli hanno entrambi uguale diritto di esistere e di avere un posto in cui vivere. Per convinzioni personali maturate durante gli anni dell’Università – e un po’ perché in Italia c’è questa distinzione un po’ grezza per cui se sei di sinistra stai con la Palestina, se sei di destra stai con Israele – ho sempre avuto comprensione e affetto per i palestinesi e la loro causa. Dan, da parte sua, è sempre stato critico e contrario al governo di Netanyahu, soprattutto della sua alleanza con formazioni di estrema destra. Una cosa su cui però Dan mi ha aperto gli occhi è l’antisemitismo. Non che prima non lo conoscessi, la storia bene o male l’abbiamo studiata tutti, ma un conto è leggerlo sui libri, un conto è vederlo in azione, toccarlo con mano. Avendo lavorato per tanti anni in politica, quando qualcuno che la pensa diversamente vuole attaccarlo per qualcosa che ha scritto su un qualsivoglia social, ecco che arrivano gli insulti, tutti dello stesso tono, tutti dove “ebreo di merda” è la cosa più gentile.
Come avrete capito se siete arrivati a leggere fin qui, questa newsletter - anche più delle altre - non vuole essere un trattato di geopolitica, non vuole insegnarvi niente né convincervi di alcunché. È un racconto personale. In questi giorni abbiamo sentito ripetere spesso che non bisogna fare l’equivalenza Hamas uguale i palestinesi, ma mi sento di dire che vale anche l’opposto - il governo Israeliano non è tutti gli ebrei. Il problema delle crisi come questa è che lo scollamento tra le popolazioni e le istituzioni che le governano diventa gigantesco, col rischio che per protestare contro le seconde si finisce per odiare la prime. Ricordarsi che dietro ci sono gli esseri umani è un esercizio che non serve solo sui social, ma dovrebbe essere alla base di tutta la diplomazia. In passato lo è stato. In questi giorni ho ripensato a un film che si intitola Oslo e che racconta il dietro le quinte di quegli accordi del 1993 tra Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin.
È una storia pazzesca, talmente assurda da sembrare finta, perché quell’accordo ritenuto storico – e poi andato a ramengo, certo – non è frutto della diplomazia tradizionale, ma figlio di una trattativa segreta quanto rocambolesca guidata da due diplomatici norvegesi, Mona Juul e Terje Rød-Larsen, marito e moglie. I due, visto che i canali ufficiali a Washington non fanno passi avanti, hanno un’idea: prendono un rappresentante israeliano (Yair Hirschfeld, professore universitario, poi sostituito da Uri Savir, in contatto diretto con il ministro degli esteri Yossi Beilin) e uno palestinese (Ahmed Qurei, ministro dell’economia per l’OLP) e li chiudono in un castello nella campagna a 90 chilometri da Oslo. Li costringono a sedersi allo stesso tavolo, a mangiare e a bere insieme, a scambiarsi aneddoti sui figli e sulla vita, persino a ridere e a scherzare. Lo so che sembra fiction, ma non lo è. Erano altri tempi, era un altro mondo, ma ha funzionato allora. Sarebbe bello sognare che possa funzionare anche oggi.
PS Del film Oslo avevo scritto tempo fa, un’intervista al regista. Il pezzo uscì su Il Foglio e lo trovate qui
Bellissime riflessioni . La storia raccontata da Oslo, che e non a caso è prodotto da Spielberg aveva colpito molto anche me. Per chi fosse interessato si può vedere su Sky.
Bellissime riflessioni Simona, con toni che in questi giorni fanno bene all´anima, grazie! La foto del matrimonio e´ stupenda! Oslo sulla lista dei film da vedere! Have a nice day!
Claudia