Bye bye America
Preoccupati dalle notizie di gente bloccata all'immigrazione e arrestata, i turisti stranieri stanno cancellando gli Usa come meta per le vacanze.
Sono stata di recente in Italia (per una operazione: sto benissimo, ma ho potuto toccare con mano la più grande differenza tra la sanità americana - dove la prima cosa che ti chiedono è la carta di credito - e quella italiana - dove la clinica ci ha messo due settimane per mandarmi il conto a casa, tanto che io ero già ritornata negli Usa). Dicevo: sono stata in Italia proprio mentre negli Usa scoppiavano i casi dei cittadini stranieri con regolare visto o green card respinti o peggio arrestati e poi rimpatriati e vi dico la verità che per la prima volta in tanti anni ho avuto un po’ di apprensione, tanto da chiedere a Dan di mettersi in contatto con un immigration lawyer nel caso mi avessero fermato e non fatto entrare. Ripensandoci forse sono stata esagerata, perché poi leggendo bene i casi che sono finiti sui giornali sono tutti un po’ particolari, ma non c’è dubbio che il clima non sia sereno. Mi sento di dire questo: se venite in vacanza in Usa (se avete deciso di non venire non avete tutti i torti, eh, ma se ormai avete prenotato magari non vi va di perdere i soldi) direi che i rischi di essere respinti sono bassissimi o per lo meno sono quelli che ci sono sempre stati anche prima. Nel senso: ci sono cose che non bisogna dire o fare mai, se non si vuole insospettire gli agenti. La più ovvia è dire che si viene a cercare lavoro se si sta entrando con un visto turistico. Mi sembra persino sciocco sottolinearlo, ma non si sa mai: non scherzate neanche su una cosa così, anche perché gli agenti dell’immigrazione non sono persone particolarmente dotate di umorismo e vi prenderebbero sul serio. Quindi: se entrate con un visto turistico non mentite e non fate i fenomeni, dite dove andate e quanto state, quando avete il volo di ritorno (sempre meglio averlo, caso mai lo cambiate) e dove alloggerete (sempre meglio avere il nome di un hotel a portata di mano, in caso cambierete anche quello, non è che controllano le prenotazioni). Mio personale consiglio: se avete amici o parenti o fidanzati evitate persino di dirlo perché potrebbe creare sospetto o confusione sulle vostre reali intenzioni. Da quando frequento gli Usa - sono ormai quasi 30 anni , sono entrata per la prima volta da turista, poi da studente con un visto J-1, poi di nuovo da turista, poi con un visto giornalistico e ora con la green card - non credo di aver mai detto che avevo amici e/o fidanzati. E non l’ho mai fatto perché di storie assurde di gente fermata e mandata nello stanzino della vergogna ne ho sentite a decine. Anzi, adesso che mi viene in mente, una volta sono finita anche io nello stanzino della vergogna - per capirci: quello sulla sinistra, passati i gabbiotti, e in cui vengono spediti per un tempo indefinito quelli che l’agente di turno ritiene di fermare per capire meglio la loro posizione. Ecco, in quella stanzino che fa paurissima ci sono finita anche io, ma è stata colpa mia: stavo andando a una conferenza e ho quindi detto che ero lì per lavoro. Errore, visto che stavo entrando con un visto turistico. Al “venga, ci segua nello stanzino” mi sono tremate le gambe. Poi la cosa si è risolta, ma è un’esperienza che non auguro a nessuno, tanto meno in questo periodo.

Diverso è invece il caso degli studenti a cui è stato tolto il visto e che sono stati rispediti ai loro paesi di origine. Si tratta di studenti che avevano partecipato alle manifestazioni pro Palestina e a cui il visto è stato revocato perché l’amministrazione sostiene che la loro presenza negli Stati Uniti ostacoli il programma di politica estera voluto dal presidente, volto a fermare la diffusione dell’antisemitismo. Il caso che ha avuto più risalto è quello di Mahmoud Khalil, laureato alla Columbia, sposato con un’americana e dotato di green card. Khalil è stato uno dei leader delle proteste alla Columbia del maggio scorso e l’otto marzo è stato arrestato e portato in Louisiana, dove si trova ancora adesso. Proprio oggi un giudice federale ha stabilito che l’amministrazione Trump - che per il suo arresto si è valsa di una legge del 1952 - ha il diritto di deportarlo. Khalil non è stato accusato di niente e ha tempo fino al 23 aprile per fare ricorso. Un caso ancora più clamoroso è quello di Rumeysa Ozturk, studentessa di dottorato della Tufts University, proveniente dalla Turchia, arrestata in pieno giorno da poliziotti della ICE in borghese e anche lei portata in un centro di detenzione in Louisiana. Le immagini agghiaccianti del suo arresto hanno fatto il giro del mondo e giustamente: se uno non lo sapesse, potrebbe benissimo trattarsi dell’Iran, non degli Usa. Il racconto del suo arresto, del viaggio verso il centro di detenzione e delle condizioni in cui è tenuta, sono anche loro da film dell’orrore e non degne di un paese che si dice democratico. Come Khalil, anche Ozturk non è accusata di niente, se non di violare questa famosa legge migratoria del 1952. Sono andata a rivederla: è una legge nota anche come McCarran-Walter Act, emanata nel contesto dei timori anticomunisti degli inizi della Guerra Fredda. Pur allentando alcune restrizioni all'immigrazione basate sulla etnia, in particolare per gli asiatici, di fatto limita la maggior parte dell'immigrazione agli europei e codifica anche regole che consentono l'uso dell'ideologia per negare l'ingresso e consentire l'espulsione. Questa stessa legge - in particolare la sezione 212f - è stata già usata da Trump durante il suo primo mandato, quando emanò il famoso muslim ban. Al cui proposito: dal secondo giorno del suo insediamento Trump ha annunciato un altro “travel ban” per un numero ancora maggiore di paesi rispetto a quello del 2017, ma per ora non è stato ancora emanato. Quello che Trump ha fatto - anzi: cercato di fare visto che per ora è stato bloccato da un giudice - è stato sospendere il programma per i rifugiati. Creato dal Congresso nel 1980, il programma è una forma di migrazione legale negli Stati Uniti per le persone sfollate a causa di guerre, calamità naturali o persecuzioni, un processo che spesso richiede anni e comporta controlli approfonditi ed è stato molto usato dall’amministrazione Biden per accogliere cittadini ucraini e afgani. Trump durante il suo primo mandato aveva già cercato di bloccarlo e aveva poi ridotto il numero di rifugiati che ogni anno possono entrare negli Usa.
Tornando ai turisti: ieri sono usciti i nuovi dati del National Travel and Tourism Office (NTTO) e dicono che tra gennaio e marzo, gli arrivi stranieri negli Usa sono diminuiti di circa il 4,4% rispetto ai primi tre mesi dell'anno scorso,. Confrontando solo marzo con l'anno precedente, tale riduzione raddoppia, arrivando a quasi il 10%. All'inizio di quest'anno, era stato previsto un aumento positivo del numero di visitatori internazionali per il 2025 considerando che i 72,4 milioni di arrivi internazionali lo scorso anno, in aumento rispetto ai 66,3 milioni del 2023. L’arrivo di Trump con tutto quello che ha comportato ha invece fatto registrare una serie di cancellazioni in tutti i settori, dai viaggi d'affari a quelli di piacere e per le famiglie con una conseguente perdita economica. Nel 2024, la spesa dei visitatori internazionali ha generato 2,9 trilioni di dollari, ha sostenuto 15 milioni di posti di lavoro, dai più ovvi del settore alberghiero ai servizi indiretti come i tassisti (dati della la U.S. Travel Association). I soli viaggiatori canadesi hanno speso 20,5 miliardi di dollari: una riduzione di appena il 10% potrebbe comportare una perdita di 2,1 miliardi di dollari. Insultati da Trump e dal suo delirio di voler far diventare il Canada uno stato americano, i canadesi hanno iniziato un boicottaggio di tutto quello che è Usa, dai viaggi ai prodotti. Nei supermercati canadesi i prodotti locali sono evidenziati e sono diventati virali i video che mostrano la rimozione dagli scaffali del whiskey americano.
In tutto questo, per noi che abitiamo qui marzo/aprile è di solito il periodo in cui decidiamo le vacanze e compriamo i voli per venire in Italia, se non lo abbiamo già fatto. Di solito io e Dan partiamo insieme a metà/fine luglio e poi lui rientra prima e io e Ella ci fermiamo una settimana in più da sole fino a dopo il 20 di agosto. Quest’anno non abbiamo ancora deciso le date, ma una cosa è sicura: non me la sento di viaggiare da sola con Ella. Preferisco che torniamo tutti e tre insieme così qualsiasi cosa succeda all’immigration Ella è comunque con Dan e Dan può chiamare un avvocato, nel caso non mi facessero entrare. E mentre scrivo questa frase mi rendo conto dell’assurdità del tutto e del fatto che se non avessi un marito e una figlia americani, probabilmente a quest’ora avrei già fatto i bagagli per tornare in Italia. Una parte di me ci pensa, a tornare, non lo nascondo. Un’altra parte di me invece vuole rimanere per vedere come va a finire. L’altro giorno una signora mi ha detto questo: sono tempi terribili, ma da ogni cambiamento ne veniamo sempre fuori meglio. Forse ha ragione lei. I tempi in cui in questo paese c’era la segregazione razziale erano tempi orribili anche quelli, più di adesso, e poi c’è stata la stagione dei diritti civili, la firma del Civil Rights Act. Dopo Bush c’è stato Obama. Ma soprattutto dopo il Padrino c’è stato il Padrino Parte Seconda.