Il senso di celebrare Black History Month
Il mese in cui si rende omaggio al contributo della cultura afroamericana è un passo in avanti verso la fine del razzismo? Magari fosse così semplice.
Sta per finire Black History Month il mese che come sapete qui negli Usa è dedicato a celebrare il contributo della storia e della cultura afroamericana. In termini pratici significa che ci sono conferenze, concerti, film, attività culturali di vario tipo dedicati a questo e che nelle scuole si affrontano argomenti attinenti. Nell’asilo di Ella ogni settimana di febbraio è stata dedicata a una attività che aveva a che fare con la cultura black: la prima settimana in classe hanno imparato la canzone “My Name” di Sesame Street guardando un video in cui a cantarla è Maya Angelou; la seconda hanno decorato delle magliette bianche con delle stampe africane; la terza hanno fatto dei disegni rappresentando le diverse sfumature di colore della pelle; la quarta hanno letto dei libri e credo anche parlato di Obama perché una sera Ella ha notato il suo faccione sulla copertina del libro che abbiamo in bella vista nella libreria e tutta contenta ha esclamato: “è nero come me!”. Eh sì, Ella sta cominciando a capire che il colore della sua pelle è diverso dal nostro. È un processo affascinante da vedere e per quanto io sia attenta e consapevole, ogni tanto faccio ancora egli errori. La settimana scorsa, ad esempio, mentre stavamo disegnando, a un certo punto mi ha chiesto di disegnare la nostra famiglia. Io l’ho fatto facendo tutti uguali, ma lei mi ha fatto giustamente notare che per lei avrei dovevo usare un pennarello scuro.
Vi ricordate nel 2016 l’hashtag #OscarSoWhite? Era per protestare che per il secondo anno consecutivo non ci fosse nessun nero candidato nelle categorie della recitazione. Quest’anno sono ben cinque: Danielle Brooks, Sterling K. Brown, Colman Domingo, Da'Vine Joy Randolph e Jeffrey Wright. Tutto risolto, quindi? Il razzismo è storia passata? Fosse così semplice. Come tutte le cose americane le cose sono sempre complicate e contraddittorie, frutto di una società in cui le diverse istanze spingono da una parte all’altra, spesso in direzioni opposte. Se infatti in campo artistico ormai c’è un dominio di artisti black e se è vero che sul tema della rappresentazione si sono fatti tanti passi in avanti - basta guardare la televisione: ormai tutti i programmi sport, politica, talk show etc hanno anche conduttori neri, per non parlare delle pubblicità, dove le famiglie nere sono quasi sovra rappresentate - ecco, se è vero questo è anche vero che mai come oggi le tensioni razziali appaiono in tutta la loro complessità e prassi che sembravano ormai consolidate vengono messe in discussione. Una di queste è l’”affermative action” quella serie di pratiche che hanno lo scopo di garantire pari opportunità sul lavoro e a scuola per i candidati appartenenti alle minoranze etniche, tracciando per loro dei percorsi di ingresso “facilitati”. La decisione della Corte Suprema del giugno 2023 sulla legalità della “affermative action” su base etnica nei programmi di ammissione di Harvard e dell’Università della Carolina del Nord ha ritenuto queste pratiche non ammissibili in quanto in violazione della clausola di pari protezione del quattordicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Ancora più di recente, il caso della rettrice di Harvard Claudine Gay – prima molto criticata per le sua posizione troppo rilassata in tema di antisemitismo e poi costretta alle dimissioni per una questione di plagio – ha riacceso una discussione molto animata su DEI ovvero Diversità Equità Inclusione, una serie di iniziative che le aziende, le scuole o gli enti governativi mettono in pratica allo scopo di affrontare le disuguaglianze nei confronti dei gruppi storicamente emarginati che possono essere presenti all’interno di una organizzazione (implementare uffici accessibili per i disabili, ad esempio, ma anche la lotta per la parità di salario tra i due sessi sono esempi di pratiche DEI)
Molti legislatori di stati repubblicani hanno incominciato una vera e propria opera di smantellamento delle prassi DEI. In un recente rapporto il sito politico Axios ha analizzato gli sforzi repubblicani per eliminare questi programmi nei sistemi educativi statali, scoprendo che hanno avuto un successo sorprendente: in 21 stati sono state introdotte leggi che smantellano i programmi DEI nei campus universitari statali e, dal 2021, tali leggi sono state approvate in nove stati, dalla Florida al Nord Dakota passando per il Texas, dove il governatore Greg Abbott si sta dando molto da fare in questo senso. “Gli stati rossi sono diventati apertamente ostili alle iniziative a cui erano aperti o meno ostili prima del picco di energia di Black Lives Matters, intorno al 2020. Questo contraccolpo reazionario non è stato solo alimentato dalla paura di una società più antirazzista, ma anche da una visione positiva del nazionalismo bianco cresciuto sotto Donald Trump”, scrive su MNBC Zeeshan Aleem. È la realizzazione di quel “again” che è la parte più importante del programma politico di Trump, quel ritorno al passato, a un’epoca più omogenea – leggi bianca - dal punto di vista demografico, culturale e intellettuale. Non è un caso che il terreno più aspro di lotta si stia spostando proprio nei licei e nelle università, il più grande motore di cui dispone la società americana per la realizzazione del multiculturalismo. E mentre nelle scuole si discute, anche nel settore privato si stanno formando due schieramenti: chi contro e chi a favore. A capitanare il primo Elon Musk: il suo recente attacco pubblico a DEI – che lui bolla come pratica razzista - ha avuto già come conseguenza che Tesla, nell'ultimo rapporto agli azionisti della società, ha cancellato ogni riferimento ai programmi sulla diversità. Negli anni precedenti, le lettere agli azionisti della società ne sottolineavano l'importanza. A capo del secondo schieramento c’è invece Mark Cuban, uomo d'affari, produttore cinematografico, investitore e personaggio televisivo molto noto grazie alla trasmissione Shark Tank. In una recente intervista ha spiegato così il suo sostegno: "Quando allarghi il più possibile l'ambito del tuo reclutamento, trovi candidati più qualificati: questa è la D. Quando assumi qualcuno, cerchi di metterlo nella posizione migliore per avere successo: questa è la E. Per tutti i dipendenti, farli sentire sicuri di sé è un vantaggio per la produttività: questa è la I di inclusione".
Cuban, come altri, è sostenitore di DEI un po’ per motivi ideologici, un po’ perché da imprenditore sa che le aziende più etnicamente e culturalmente diverse sono fino al 36% più redditizie rispetto a quelle meno diversificatele. Questi che ho appena citato sono dati di uno studio McKinsey del 2020, ma ce ne sono anche altri e vanno tutti nella stesa direzione: le aziende dove c’è diversità e inclusione non solo creano un ambiente migliore per la forza lavoro, ma sono anche migliori nella gestione dei problemi e vanno meglio dal punto di vista economico. Quelli contrari a DEI una po’ lo fanno anche loro per ideologia, un po’ perché sostengono che questi studi mostrano una correlazione tra i due eventi, ma non un nesso di casualità per cui in realtà non si può dire se davvero ambienti ad alta diversità siano più produttivi. Questo è solo un esempio, ma ce ne sono diversi che vanno tutti nella stessa direzione ovvero che rispetto al 2020 quando, sull’ondata delle proteste a sostegno di Black Lives Matter si era trovata unità e si erano fatti passi concreti in termini di diversità e inclusione, oggi la questione razziale sta vivendo un (ennesimo) momento delicato, con contraccolpi, passi indietro, estremismi e rigidità. Persino su Black History Month non c’è accordo. Alcuni lo trovano offensivo, altri indulgente, altri ghettizzante. Morgan Freeman in una intervista al Guardian ha detto che secondo lui è una cazzata perché “Black history is American history”, sono completamente intrecciate. “Perché relegare la mia storia a un solo mese?”, ha aggiunto. Come a dire che alla fine Black History Month lo celebrano solo i bianchi per sentirsi a posto con la coscienza, mentre i neri non hanno nulla da celebrare: sono neri tutto l’anno, non solo a febbraio, e sono ben consapevoli dell’apporto della loro cultura, non hanno bisogno di una festa per ricordarselo.
Un altro numero stupendo! Grazie!
Bravissima! Adoro i tuoi testi e gli spunti di riflessione!!
E Ella... sempre stupenda!
Marian