La sanità americana è il male
In questa newsletter tanto per cambiare mi lamento un po' del sistema sanitario
Vi racconto questa storia con il tono delle nonne che raccontano le favole con i lupi cattivi ai propri nipoti, per mettervi in guardia dalle brutture di questo sistema, e ve la racconto dopo una settimana trascorsa al telefono, in una specie di vortice assurdo che definire kafkiano è fargli un complimento. Una di quelle settimane in cui l’unica cosa sensata da fare sarebbe prendere un biglietto di sola andata per l’Europa e ciao. Bye bye America. Prima qualche premessa: come forse qualcuno già sa, mio marito Dan – americanissimo – ha una attività sua, aperta dopo aver lasciato Washington e la politica, ormai quasi venti anni fa (noi ci siamo conosciuti quando lui viveva già a New York). Come piccolo imprenditore, quindi, aveva la possibilità di avere un’assicurazione sanitaria di un certo tipo che coprisse se stesso, la sua famiglia e i suoi dipendenti, uno staff piccolo che in questi anni è variato da tre, quattro, in certi momenti fino anche a cinque dipendenti. Fin qui tutto bene, nel senso che la nostra assicurazione pur non essendo stellare, ha sempre comunque coperto tutto e abbiamo sempre trovato ottimi specialisti in tempi brevi e per le cose di routine tipo visite annuali generiche, esami del sangue, vaccino per l’influenza, raffreddori e varie ed eventuali usavamo un centro chiamato One Medical che fungeva da medico di base.
Questo fino a novembre dell’anno scorso quando, per una serie di coincidenze, succedono due cose. La prima è che Dan rimane con solo due persone dello staff, una delle quali ha l’assicurazione tramite il marito per cui non le serve quella offerta dalla società di Dan. La seconda cosa è che Just Work, l’agenzia tramite la quale avevamo l’assicurazione, senza preavviso e senza neanche avvisare i suoi clienti, cambia le regole e non permette più ad aziende piccole come quella di mio marito di usufruire dell’assicurazione se non con un minimo di tre dipendenti. Nel giro di due settimane – forse erano tre, ma il concetto non cambia - la nostra assicurazione quindi non è più valida. Panico. Dopo una settimana passata al telefono (voi non avete idea quanto tempo si perde ad avere a che fare con le assicurazioni, santo cielo!) si scopre che la soluzione più veloce e più efficace e che non ci costi un occhio della testa a questo punto è di usare COBRA. COBRA (scritto proprio tutto maiuscolo) non è un serpente, come cantava la Rettore, ma sta per Consolidated Omnibus Budget Reconciliation Act ovvero una legge grazie alla quale chi perde l’assicurazione per motivi improvvisi e non suoi – licenziamento, morte del coniuge, divorzio etc - può continuare ad usare i benefici del suo piano assicurativo anche se le condizioni per quel piano non esistono più. Dal sito del governo: “COBRA conferisce ai lavoratori e alle loro famiglie che perdono i benefici sanitari il diritto di scegliere di continuare i benefici sanitari di gruppo forniti dal loro piano sanitario di gruppo per periodi di tempo limitati in determinate circostanze come perdita volontaria o involontaria del lavoro, riduzione delle ore lavorative, transizione tra lavori, morte, divorzio e altri eventi della vita”. A questo punto siamo credo a dicembre, io e Dan abbiamo già litigato dieci volte, io ho inveito contro il sistema sanitario americano centinaia di volte usando gli epiteti più creativi, sono stressata, depressa, ho gli incubi e smetto anche di ascoltare le spiegazioni che mi dà Dan perché sinceramente è tutto talmente triste e sconsolante e ingiusto e allucinante che per la mia salute mentale preferisco staccare completamente. Quindi perdonatemi se non entro nei dettagli, molti dei quali non sono neanche così chiari, né a me né temo anche a Dan (sono sempre più convinta che le assicurazioni facciano la loro fortuna sull’oscurità delle loro polizze: è una specie di truffa legalizzata).
Avanti veloce ai giorni nostri: da gennaio e scaduto COBRA che era comunque una misura temporanea, io e Dan siamo quindi sotto un’altra assicurazione che altro non è che Obamacare ovvero rientra tra le assicurazioni fornite dallo stato di New York a prezzi competitivi. E fino qui tutto bene, perché tecnicamente United Healthcare viene accettata un po’ ovunque. In pratica non è così, perché anche all’interno della stessa assicurazione ci sono piani diversi e non tutti sono accettati da tutti i medici o strutture ospedaliere. E infatti. La prima scoperta è che One Medical - la struttura presso la quale avevamo il nostro medico di base – non accetta proprio United Heatlhcare quindi ci dobbiamo cercare un altro medico di base. La seconda scoperta è che nell’ospedale dove io da quasi dieci anni faccio i controlli al seno post cancro, la mia oncologa accetta sia United Heatlhcare che il mio specifico piano, ma la struttura legata al Langone Hospital dove di solito faccio la mammografia e l’ecografia accetta sì United Heatlhcare, ma non il mio specifico piano e quindi per fare la mammografia dovrei andare a Staten Island, l’unico posto dove accettano tutto. Non solo, al momento il Mount Sinai – l’ospedale forse più grosso di New York – è in disputa con United Heatlhcare per questione di soldi – che altro, se no? – e quindi non si sa se chi ha la United Heatlhcare potrà continuare a usare il proprio dottore che fa parte del Mount Sinai (nel mio caso, lo specialista del dolore che la scorsa estate mi ha curato il male al collo). Per fortuna il centro pediatrico dove va Ella prende la United Heatlhcare quindi almeno lei è a posto.
Ecco, racconto tutto questo perché la sanità americana è una di quelle cose che bisogna viverle per crederci, perché raccontata da chi non l’ha vissuta sulla propria pelle non rende davvero l’idea della quantità di stress e frustrazione che può procurare. Stress personale ma nel mio caso anche stress di coppia, perché per quanto ami Dan, io questo sistema lo detesto, mi fa orrore e paura e alla fine me la prendo sempre un po’ con lui perché ai miei occhi essendo lui americano è comunque complice, e se non lo è, perchè non fa niente per cambiare le cose? Veramente, io tutte le volte che ho a che fare con le assicurazioni sanitarie mi domando come mai negli Usa non c’è una rivoluzione al giorno di gente esasperata, perché la vita continua normalmente quando di normale qui non c’è niente, perché per la gente questa non è la priorità assoluta.
In realtà lo sta diventando: i sondaggi dicono chiaramente che gli americani non ne possono più di questo sistema diventato troppo caro anche per chi ha buone assicurazioni, che sono stufi di indebitarsi per farsi curare, ma al tempo stesso cambiare completamente sistema è così complicato che alla fine nessuno sa o vuole metterci le mani e quindi si va avanti così. Oppure la gente emigra e va a vivere in Europa, che è poi la minaccia che faccio sempre a Dan: sappi che se mi succede qualcosa io torno in Italia e ci rimango. Per la cronaca: al momento essendo iscritta all’Aire, essendo cioè un’italiana che risiede all’estero non ho più diritto alla assistenza sanitaria, per riaverla dovrei riprendere la residenza in Italia. Al cui proposito: quando penso seriamente come nei giorni scorsi di mollare tutto e tornare in Italia, poi penso anche che, tramite il consolato, ho presentato al tribunale di Milano i documenti per l’adozione di Ella ad ottobre 2022. Siamo a fine marzo 2024 e non ho ancora ricevuto risposta. Di fatto, Ella non è ancora cittadina italiana, per l’Italia Ella non esiste proprio e quindi non ha ancora potuto fare il passaporto italiano, cosa di cui avrebbe diritto essendo figlia di una cittadina italiana. Per farle il passaporto americano ci abbiamo messo due settimane, a luglio 2020, in piena pandemia.
PS pare che United Heatlhcare e Mount Sinai abbiano trovato un accordo, evviva
E noi che abbiamo il privilegio di una sanità pubblica non la difendiamo abbastanza😥
Solo chi vive qui (in USA) può capire fino in fondo cosa significa il sistema sanitario. Ma, se posso condividere un altro aspetto malato di questo sistema, anche quello scolastico è a dir poco orribile. Vivo a NY da 20, mio figlio ora studia a Roma, all'università. Se avessimo saputo cosa ci aspettava per farlo studiare a NY non so se ci saremmo rimasti