Dove eravamo rimasti
Effetto Kamala anche sulle mie vacanze: tornare negli Usa non è mai stato così piacevole.
Come sono andate le vostre vacanze estive? Tutto bene? E il rientro? Avete già ripreso i ritmi normali di ritorno al lavoro? Non mi sembra vero che l’ultima newsletter che ho mandato fosse del 22 luglio. Da allora sembra trascorsa una eternità. Quella che si preannunciava come l’estate pre elettorale più noiosa e prevedibile di sempre si è rivelata una girandola di emozioni e novità. Un piccolo riassunto per chi ha perso i pezzi: a fine luglio io e Dan siamo andati in Italia, viaggio ovviamente programmato con largo anticipo. Il 16 di agosto Dan è tornato e io che inizialmente avevo pensato di rientrare a NYC con tutta calma a fine agosto, sono invece tornata in tempo per andare a Chicago alla convention del partito democratico. Nonostante la stanchezza e le caprioli organizzative che ho dovuto sostenere sono contenta di esserci andata: ho potuto verificare di persona l’entusiasmo che la candidatura di Kamala Harris sta suscitando, soprattutto all’interno della comunità Black. Il che non vuol dire che Harris abbia la vittoria in tasca, anzi: dopo una rimonta spettacolare e dopo aver raccolto tantissimi soldi, gli ultimi sondaggi sono abbastanza preoccupanti e danno Donald Trump in vantaggio in tutti gli stati in bilico che qualunque candidato deve vincere per diventare presidente. Ovviamente è ancora molto presto per fare previsioni, i sondaggi spesso sbagliato, c’è ancora il dibattito del 10 settembre da vedere come va, ma insomma il super entusiasmo di metà agosto quando addirittura sembrava che Harris potesse farcela sembra essersi ridimensionato. Intanto martedì c’è il dibattito: io e Dan lo seguiremo da casa e poi faremo un breve video a caldo di commento, pur nella consapevolezza che i dibattiti alla fine spostano poco o niente e che il sostegno a Trump è sempre un po’ sotto rappresentato. Nel 2016 per esempio Hillary Clinton a detta di molti vinse tutti e tre i dibattiti, ma poi sappiamo come è andata. In un clima di incertezza come questo, l’unica cosa certa è che i due candidati si stanno preparando a una battaglia che andrà al di là delle elezioni stesse. Da una parte Trump sta facendo quello che aveva già fatto nel 2020 ovvero gettare le basi per poi dichiarare che le elezioni sono state truccate (nel 2020 aveva iniziato dicendo che Biden era rinchiuso in un bunker e che non faceva comizi o se li faceva c’era pochissima gente ad ascoltarlo, argomento usato in seguito per contestare il fatto che Biden sia stato il presidente che ha preso più voti assoluti nella storia, pensino più di Obama. Allo stesso modo, Trump sta dicendo che il sostegno che ha Harris è finto, che le foto dei suoi comizi sono manipolate con l’intelligenza artificiale. E lo fa per poi sostenere la stessa logica: ma se ai suoi comizi non c’era nessuno, come è possibile che abbia vinto tutti questi voti? Sicuramente hanno imbrogliato). Dall’altra Harris sta mettendo in piedi una squadra legale mai vista: circa 200 avvocati e consulenti che dovranno darsi da fare nel caso molto probabile che le elezioni siano decise da poche migliaia di voti e che sia necessario un riconteggio, almeno in alcuni stati. L’impressione che ripeto spesso è che Kamala Harris vuole vincere: significa che sta facendo le mosse giuste, sta assumendo le persone giuste, si sta concentrando sugli stati giusti. Che poi ce la faccia è un altro discorso, ma almeno sta conducendo una ottima campagna.
Tornare a New York dopo più di un mese è come al solito una cosa strana. Da una parte c’è sempre la stessa meraviglia nel poter chiamare casa il luogo che fino a dieci anni fa sognavo. E a questa va aggiunta anche la normale voglia di casa propria che prende chiunque dopo essere stato tanto lontano: la voglia del proprio letto, delle proprie abitudini, di fare colazione in un determinato posto, di vedere determinate persone, di respirare una determinata atmosfera. Dall’altra c’è lo scontro con la realtà, con la sporcizia, il rumore, gli homeless e chi più ne ha più ne metta a farti domandare tra te e te: ma in che cavolo di posto vivo? Sarà l’effetto Kamala anche su di me, ma ammetto che quest’anno la gioia di tornare ha superato la malinconia di lasciare l’Italia. Sarà che durante la vacanza italiana Ella è stata oggetto di commenti assurdi. Il primo è successo al museo dei bambini dei Milano, quello alla rotonda della Besana per capirci: una domenica mattina ho portato Ella a fare un’attività e il tizio del bar interno a un certo punto vedendo mia figlia si è nesso a urlare: “ah che bel cioccolatino”. L’altro episodio, pure peggio, è successo sull’autobus che ci portava da Albisola a Savona. Dopo aver squadrato me e Ella per bene, un tipo seduto di fronte si è rivolto a me e ha detto: “ e questa così nera, dove l’hai presa?”. Ovviamente con questo non voglio dire che in Italia ci sia razzismo e che negli Usa no, che sia tutto perfetto e risolto. Penso che il razzismo sia da entrambe le parti, ma che nel caso dell’Italia sia un razzismo primordiale, sciocco, immaturo, che si nutre della paura del diverso, mentre in Usa è un razzismo strutturale e subdolo, che si nasconde meglio in una società per il resto davvero multi etnica. Il che ci fa tornare a Kamala Harris e alla portata di una sua eventuale vittoria. Lei, in modo molto intelligente, non sta cavalcando la questione razziale e neanche quella di genere, anzi. Si sta presentando come il candidato più efficace per battere Trump, ma il fatto rimane. Kamala Harris è una donna nera e se mai diventasse presidente l’impatto su milioni di bambine ci sarebbe eccome. Me ne accorgo dal modo in cui Ella solo ora preferisce la bambola della Sirenetta nera rispetto a quella bianca, dal modo in cui guarda e commenta con aria soddisfatta le ragazze più grandi che vede che hanno i capelli uguali ai suoi, dal modo in cui urla Kama-la ogni volta vediamo una sua foto.
“Razzismo primordiale, sciocco e immaturo” vs “razzismo strutturale e subdolo” — illustrazione perfetta della differenza tra i due paesi, grazie Simona per queste parole così chiare. Vivo anche io in USA da tanti anni e nei miei scritti sto approfondendo questa differenza riguardo ai temi di genere. Il meccanismo è molto simile: in Italia c’è mancanza di coscienza, e tanto razzismo/sessismo/ecc rimane alla luce del sole; negli Stati Uniti tutto sommato la coscienza esiste, ed è anche per questo che per sopravvivere razzismo/sessismo/ecc devono infiltrare la struttura e infilarsi nelle pieghe più subdole, dove comunque sono vivi e vegeti.
Sai che non avevo mai pensato alla frase 'che bel cioccolatino' rivolto ad una bimba di colore potesse suonare offensivo. Preciso che non l'ho mai detto a nessuno, ma non ci avevo mai pensato in questi termini.